Analisi di Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della Forza
IL VULCANO (DELLA FORZA) ERUTTA
Analisi del Presidente Yavin 4 Filippo “Jedifil” Rossi
Re Artù Skywalker e i Cavalieri della Tavola Galattica…
(Antefatto)
0. CANTAMI DEL MITO DELLA FORZA E DEI JEDI
Tempo dopo “Star Wars – Episodio VI: Il ritorno dello Jedi” e la fine dell’Imperatore Palpatine e di Lord Darth Vader. L’ultimo Cavaliere Jedi, il nemmeno 30enne eppur saggio trionfatore Luke Skywalker, fonda un’Accademia dei futuri alfieri della Forza. Tra i suoi primi allievi c’è il nipote Ben Solo, figlio della sorella Principessa Leia Organa e dell’amico Generale Han Solo. Ma, anni dopo, il misterioso Supremo Leader Snoke, nuovo Maestro del Lato Oscuro, travia il 15/20enne Ben e alcuni suoi amici allievi: i malvagi sette si autonominano i Cavalieri di Ren. Questi si ribellano al Maestro Skywalker e massacrano i suoi Padawan… A eccezione di una di loro, la piccola Rey di più o meno 5 anni. Ella viene nascosta e abbandonata dalla madre, con la promessa di un ritorno, sul desertico e povero Jakku; “protetta” dal solo saggio anziano dell’antica Alleanza Ribelle Lor San Tekka. Qui sopravvive, in paziente attesa della sua misteriosa famiglia…
Luke Skywalker invece è sconfitto e ferito: si ritira in esilio nel perduto primo Tempio dei Jedi (proprio come aveva fatto Yoda sul paludoso Dagobah quasi 60 anni prima). Ha tentato di riaccendere a forza il fuoco dei Jedi, che aveva abbandonato l’universo, ma ha fallito – come un boyscout che strofina i legnetti per creare un falò ma per errore incendia l’intero bosco. Solo ora, alla fine di tutto, capisce il tragico errore dell’Ordine Jedi della Vecchia Repubblica: la scintilla dell’infinita Forza non è controllabile né artificiale e da sempre si deve riaccendere da sola, in maniera naturale. E Luke usa l’istinto e aspetta. Aspetta. Con la Galassia che torna in guerra civile; mentre Snoke scatena la terroristica organizzazione militare del Primo Ordine; Leia diviene Generale della Resistenza, la task force difensiva della Repubblica; e Ben indossa la sinistra maschera nera del combattente del Lato Oscuro Kylo, Maestro dei Cavalieri di Ren… Luke aspetta che gli indizi lasciati indietro per rintracciarlo nella Galassia vengano provvidenzialmente ricostruiti. È il mistero di una mappa stellare spezzata in due che solo un sensibile alla Forza potrà risolvere. Un frammento della mappa lo inserisce in segreto nel fedele ed eroico Astrodroide della Resistenza R2-D2, che (si) spegne a tempo indeterminato in modalità “risparmio energia” ed “entra in coma” proprio al fianco dell’ignara sorella Skywalker; il secondo frammento, decisivo, lo getta come in una bottiglia tra le correnti dello spazio – per essere ritrovato oggi, più di trent’anni dopo l’inizio della vicenda, proprio dal vecchio amico Lor San Tekka… Su Jakku, che diviene il pianeta al centro di tutto!
È giunto infatti il momento in cui la Forza ha capito che la pace deve essere riportata nella Galassia. L’energia vivente dell’universo si sta per risvegliare, permettere la ricostruzione della mistica mappa e guidare così la speranza della nuova generazione al Luke Skywalker del mito – allo stesso modo in cui egli stesso un tempo era stato guidato, come una nuova speranza, alla mitizzata generazione precedente.
“Ci si prepara per la grande festa / Si inchiodano le tende alla parete / Ecco il Fantasma dell’Opera / Perfetto nel suo abito da prete” (Francesco De Gregori canta Bob Dylan, “Via della Povertà”, 2015)
(Forma)
1. PER CAPIRE (NON PER AMARE) STAR WARS 7 SI DEVE DISIMPARARE CIÒ CHE SI HA IMPARATO
Questo possente antefatto, questa indiscutibilmente magnifica storia del passato, è tutta nei soli, pochi ma puntuali accenni nell’ultimo film di J.J. Abrams, proprio come le Guerre dei Cloni e la caduta dalla grazia dei Cavalieri Jedi erano solo poeticamente accennate nel Guerre Stellari originale – “Star Wars – Episodio IV: Una nuova speranza” di George Lucas, 1977. Trovo questa scelta stilistica dei tre fantastici sceneggiatori del Risveglio della Forza – J.J.A, Lawrence Kasdan & Michael Arndt – l’omaggio migliore dei tantissimi loro omaggi alla Trilogia Classica 1977/1983 delle Star Wars di Lucas. Se fu giusto allora che a fare Guerre Stellari fosse un fan del Flash Gordon dei comics (anche di molto altro, eh), è adesso giusto che a fare Star Wars 7 siano dei fans di Guerre Stellari. Fans seri e meticolosi, che hanno studiato e capito l’opera nei messaggi, nel tono e nei modi.
Gli omaggi possono diventare citazioni, poi calchi e addirittura plagi, sia chiaro. E nell’Episodio VII a volte succede. Non solo gli accenni poetici a un passato perduto; anche la struttura narrativa e drammaturgica si ripete, come si ripetono certe gag e alcuni aspetti visivi del 1977/1983 – più dell’83 che di altro, perché lo schema richiama meno “Una nuova speranza” quanto molto di più “Il ritorno dello Jedi” (l’introduzione desertico-esotica slegata dalla vicenda principale; il passaggio centrale riflessivo con nuovi amici; il triplice montaggio parallelo dell’attacco spaziale alla superarma più grande di sempre da lanciare non prima della disattivazione del suo scudo terrestre e il contemporaneo duello a tre dei destini jedi). E tutto ciò riconosco essere un fardello, da un certo punto di vista, per il risultato finale. Però Star Wars ha sempre avuto nel suo DNA il riciclo delle architetture del Mito, tanto proprio (interno a ogni Episodio fin dal sesto del Ritorno dello Jedi) quanto altrui (dalla fiaba all’archeologia, da Re Artù a J.R.R. Tolkien, dai Samurai di Akira Kurosawa ai Generi hollywoodiani Western/bellico/comedy tipo Howard Hawks). Se i primi tre Star Wars sono diventati essi stessi “mito”, la loro rielaborazione moderna diviene un’operazione non solo sensata ma inevitabile.
Lasciando da parte la dibattuta qualità filmica dei tre Prequel della Nuova Trilogia 1999/2005, la cui storia è comunque straordinaria e fondamentale, trovo narrativamente corretto che non si guardi a loro bensì alla Trilogia Classica. I più recenti Prequel “nonni” rappresentano la “preistoria” starwarsiana, in un’altra più antica Galassia ricca e decadente, che ha fatto il suo tempo. Episodio VII prende spunto diretto quindi dai tre più vecchi film “genitori”, gli Episodi IV/VI di quasi quarant’anni fa, più vicini ed esatti a livello cronologico (anche come età degli attori protagonisti). Il cortocircuito cinematografico che ne deriva è notevole e le prospettive che si aprono si fanno infinite e soprattutto inedite.
Lo scarto decisivo nell’originalità dell’opera Ep7 lo creano i vecchi e nuovi personaggi, le loro vicende e le loro scelte. In effetti a volte l’aderenza al passato di Star Wars fatica a ingranare. Fin dai “piani” nascosti nel piccolo e simpatico Droide e il salvataggio di un prigioniero torturato ma ancora energico da un regime autoritario, il film può di certo sembrare un remix, pur realizzato con maestria. Un po’ troppo riverente al materiale precedente. Ma è quando le figure animate innestano la marcia dell’action che tutto prende forma dinamica in situazioni mai viste. Ci ritroviamo con elementi nuovissimi che, inseriti nella “formula Star Wars”, la rinforzano e la approfondiscono.
“Sono nato senza chiederlo, senza volerlo morirò / Sembra che mi stia spostando ma sono immobile da un po’” (De Gregori canta Dylan, “Non è buio ancora”, 2015)
(Schieramenti)
2. LE PARTI SI SONO RIBALTATE: I CATTIVI UMANIZZATI E I BUONI RESI MACCHINE DA GUERRA
Contro la benigna (nuova) Repubblica, che rimane sullo sfondo come era successo al Senato Imperiale nella mascalzona Trilogia Classica e non succedeva nei più didascalici e politici Prequel, il Primo Ordine è stato messo in mano, da parte del suo Supremo Leader Snoke (il maestro del CGI Andy Serkis), a una schiera di ragazzini ricchi e viziati. Che sanno essere spietati, fanatici e vigliacchetti come lo sono solo certi pericolosi giovani di buona famiglia con il complesso psicotico di superiorità, razzisti e dotati di tutto, dalla Porsche all’AK-47. Il Generale Hux (attore Domhnall Gleeson) per primo, giovane nazista di nobiltà agiata smanioso di genocidi ma pronto, se serve, alla fuga alla chetichella di fronte alla sconfitta (a differenza del più popolano e algido Grand Moff Tarkin ’77 di Peter Cushing, uomo vero tutto d’un pezzo, figlio di altri tempi più – o meno – civilizzati). Tutti gli altri sono soldati dei Cattivi rappresentati per la prima volta nella Saga come reali esseri umani, anche di sesso femminile – le voci del Capitano Phasma e di uno Stormtrooper donna non mentono, pur se regolarmente e non a caso mascherate. Sono sempre marziali, coreografici, aggressivi, spietati e stragisti; ma hanno paura e scappano, cedono ai ricatti e alle minacce, tradiscono e disertano. Evidente come tutto ciò da un lato possa sì sminuire la portata concreta della minaccia galattica e indebolire certe svolte del racconto; ma d’altro canto anche dare tridimensionalità allo schieramento degli antagonisti starwarsiani che, dai Separatisti ai Cloni, dai Sith agli Imperiali è sempre stato granitico.
In questo senso assume importanza decisiva come villain il solo Maestro del Lato Oscuro della Forza Snoke, che viene anche lui, da regola starwarsiana, accennato; ma non troppo. Non ne vediamo molto ma ne vediamo abbastanza per capirne la potenza e la minaccia. All’inizio Tekka afferma che senza i Jedi non ci può essere l’Equilibrio nella Forza… Beh, senza Luke non ci sono Jedi; se Snoke è la reazione dell’universo allo squilibrio, serve al più presto un’intera università accademica cavalleresca! Parrebbe trattarsi di un esperto, superiore (un po’ svogliato) giocatore di scacchi che, sicuro della vittoria finale, muove le sue sacrificabili pedine mortali con grande sadismo. Snoke sembra, in realtà, un anziano bambino iracondo che gode nel rompere le sue action figure viventi… o a bruciare vive le formichine che tortura. Padrone assoluto di giovani vite buttate allo sbaraglio, inesperti allievi del Lato Oscuro compresi. Cosa interessante che funziona in questo primo film ma ovviamente non può bastare nell’impianto della Terza Trilogia che aspettiamo.
La Resistenza invece è in mani più esperte, fedeli e di buonsenso. Sia nella stanza dei bottoni che sul campo. La generalessa Leia Organa (Carrie Fisher) ha lavorato molto bene, a parte gli evidenti e tristemente realistici problemi familiari – del resto essere una leader è la cosa “che sa fare meglio”. I combattenti commando anti-nazisti della Repubblica sanno tutti il fatto loro, dal primo dei comandanti all’ultimo dei piloti: simbolo è Poe Dameron (Oscar Isaac), che allegramente va, colpisce e torna. Il fatto decisivo, di cui Leia è perfettamente consapevole e non manca di informarci, è che di là c’è un Maestro del Lato Oscuro; da questa parte manca dolorosamente un Maestro della Luce nella Forza…
“Così tante strade, quante cose in ballo / Quanti vicoli ciechi, quanto fiato sul collo” (De Gregori canta Dylan, “Dignità”, 2015)
(Personaggi vecchi)
3. GLI ANTICHI GIOVANI EROI DI GUERRE STELLARI SONO ADESSO UOMINI E DONNE: SEGNATI E SOFFERENTI ADULTI REALI
Non più, mai più indimenticabili personaggi… ma vita vera. Gli ex-giovani eroi di Star Wars, una volta adulti e adesso vecchi, hanno tutti tentato e fallito seguendo una logica linea di sviluppo dei loro magnifici caratteri. Han Solo, o quello che ne rimane, ha fallito come padre, Generale e leader per tornare a fare il cialtrone solitario a tempo pieno; quello che gli riesce meglio. Leia Organa ha fallito come madre e Jedi – e pure come politica, visto che non è con tutta evidenza a capo della distante Repubblica. E si capisce chiaramente l’importanza strategica del recupero dello spezzato Luke Skywalker nella lotta contro il Lato Oscuro, per quanto nel racconto fallito come Maestro, ferito nel corpo e nella mente. Personalmente, così li sento dal primo all’ultimo ancora più vicini.
Ma è così bello rivederli, nonostante tutto, gettarsi ancora una volta in azione: saranno pure dei falliti, ma che classe, che spirito, che forza. Questa dei Moschettieri disillusi e invecchiati eppur giovani dentro è la medesima materia altissima del “Vent’anni dopo” di Alexandre Dumas padre: non a caso uno dei romanzi cappa e spada più amati di ogni tempo. Nel vederli riuniti trent’anni dopo, Han/Chewie/Leia/C-3PO/R2-D2 e gli altri, si sente nettamente il peso delle loro relazioni; che è potente e non finto o artificioso, perché connesso direttamente alla memoria condivisa degli spettatori e al loro stesso sentimento. C’è il senso naturalissimo delle decadi passate, di battaglie vinte e perdute, di vecchi litigi non ricomposti e dell’amore ancora e per sempre aleggiante nell’aria.
Nel film ho trovato in particolare struggente il rapporto tra Han e Leia. Leggendaria canaglia e carismatica Principessa, incapaci di trovare un equilibrio di coppia: persone mature dalle personalità fortissime che si amano sinceramente ma che litigano sempre. Quando Leia dice che alle partenze inevitabili, o fughe, del pirata spaziale lei capiva ogni volta di amarlo… si tratta di cose molto vere e molto belle. E non si può non pensare che sia proprio Leia, l’amore della sua vita, a condannare a morte il contrabbandiere galattico più famoso e amato della storia del cinema: quale romanzesca beffa del destino! Infatti Han si è allontanato dal figlio e dalla madre di lui, certo di essere la causa dell’immenso dolore. Han non è sciocco, sa di essere l’Uomo Mortale a cospetto di due eredi della leggendaria Forza e il suo essere inadeguato si fa inevitabile – esattamente come era evidente la sua imbarazzata inadeguatezza di fronte al Jedi ritornato Luke Skywalker di Episodio VI. Vinto l’Impero, per decenni è sopravvissuto lontano da tutto, perché Solo sa autodifendersi… E infine oggi viene spinto all’impossibile recupero (bensì tragico confronto) col figlio disumano proprio dalla consorte, nell’unica scena in cui i vecchi amanti si toccano.
E la canaglia menefreghista sa, alla fine di tutto, farsi eroe… Dopo la ramanzina all’egoista Finn; prima del “suicidio” con il figlio perduto; se l’eroico Han Solo non avesse deciso di mettere le mine all’Oscillatore Termico della Base Starkiller, dopo aver capito da solo che gli X-Wing del Black Leader Dameron erano in difficoltà… la Resistenza, Leia e R2 erano finiti e Luke non l’avrebbe trovato nessuno. Saluto al Capitano!
“Abbiam dovuto dividerci e sbatterci qua e là / Ma per quelli che si amano non è certo una novità” (De Gregori canta Dylan, “Non dirle che non è così”, 2015)
(Personaggi nuovi)
4. I TRE CHE HO AMATO DI PIÙ SONO TUTTI NUOVI: BB-8; KYLO REN/BEN SOLO; REY
I nuovi personaggi sono per fortuna numerosi e riescono ad avere i loro momenti; ma non tutti vengono approfonditi come dovrebbero, soprattutto per reggere il confronto con i titani già definiti da decenni di avventure. Il venerabile Lor San Tekka dell’enorme Max von Sydow, uomo normale non Jedi ma che venera la Forza, è molto interessante… sulla carta (tirato via come quasi il Conte Dooku del compianto Christopher Lee). Il simpatico Poe Dameron di Isaac inizia benissimo per poi rimanere funzionale all’azione: è fighissimo e basta ma forse va bene così. La misteriosa Maz Kanata del premio Oscar Lupita Nyong’o ha uno spazio centrale e affascinante… un po’ lento e troppo criptico. Il giovane Generale Hux di Gleeson ha un grosso ruolo da signore della guerra anche se, per evidente scelta, senza una potente maturazione; e la sua importanza nella sceneggiatura ha divorato la sfortunata “assente” Capitano Phasma di Gwendoline Christie. Le tante figure di Resistenza, tra cui vecchie conoscenze come Ackbar o Nien Numb, e Primo Ordine sono (splendido) contorno.
Qualche parola a parte merita lo “Stormtrooper traditore” di John Boyega, soldato/uomo comune che permette lo svolgimento della storia galattica ed è fino alla fine al centro del plot. Intanto è un Cattivo che opera subito una meravigliosa scelta etica per poi essere perfettamente ribattezzato dal Buono Dameron (dall’impersonale sigla alfanumerica, puramente lucasiana, FN-2187 al più “anglosassone” e Pop Finn). L’attore Boyega, giovanissimo e quasi esordiente, conferma l’ottima presenza scenica di “Attack the Block” e sciorina sorprendenti carisma e talento, sicurezza e mestiere. Regge gran parte del kolossal sulle spalle. è un fan SW che trasmette professionalità: il che è raro. Ed è un burlone nato, strappa il sorriso e la risata più volte, cosa importantissima nell’action del migliore Space Fantasy starwarsiano: tempi comici, linguaggio corporeo, umorismo nervoso. Non mi ha di certo stupito, non è tra i miei preferiti; ma apprezzo in Star Wars il suo essere slegato dal pericoloso concetto dei Force-user, ritraendo a tutto tondo un “civile” a contatto con “l’èlite della Forza”: ciò mi è mancato per tutti i Prequel.
Non è in effetti qui che trovo il senso della rinascita, bensì… nel pazzesco tris di protagonisti.
Primo di tre. Il nuovo piccolo Astrodroide BB-8 è genio puro e vale da solo il prezzo del biglietto. Si muove così davvero, sul set è reale. La sua “recitazione” è credibile e coinvolgente. Il ruolo di “robot con i sentimenti” conferma la regola-base starwarsiana, elemento fondante questo Universo di fiction: la nuova umanizzazione dei Cattivi va quindi di pari passo con la tradizionale umanizzazione della Macchina. Funziona in dinamico duo prima con Rey, poi con Finn e infine con Dameron. Il suo status è eroico e J.J. Abrams non si stanca mai di lui, lo trasforma nell’occhio meravigliato dello spettatore, ce lo rende sempre simpatico e gli riserva diversi momenti attivi ma anche emotivi; sia personali che nell’interazione con i giovani attori sul set. Incredibile. L’unico appunto è che nel terzo atto viene dimenticato sull’X-Wing di Poe Dameron… Ma è nella relazione finale con R2-D2 che BB-8 si appropria definitivamente del palcoscenico: sia al primo incontro – in cui è chiaro come BB-8 intuisca immediatamente la presenza della mappa perduta in R2, con il vecchio ignorantone sussiegoso C-3PO a confutarlo; fino alla stupefacente sequenza del risveglio del vetusto Astrodroide dell’Esalogia di SW. Signore e signori, ecco a voi il team-up buddy-buddy tra il Droide-icona delle due generazioni precedenti e il Droide-icona della nuova generazione!
Secondo di tre. Passiamo a Kylo Ren… c’è poco da dire: se ami Kylo Ren ami il film; se ami il film ami Kylo Ren. Per quanto mi riguarda, adoro profondamente questo ex-Ben Solo, ora Maestro oscuro dei Cavalieri di Ren: il Kylo Ren dell’esperto Adam Driver è a mio parere il miglior villain che il franchise Star Wars abbia mai prodotto. Non solo è il degno erede di Lord Darth Vader, ma può in prospettiva essere addirittura più interessante. Alto e slanciato al punto di sembrare allampanato, c’è un senso di adolescenza che gli rimane attaccato addosso… con quegli sbotti d’ira petulante opposti alla fredda furia di Vader. Anche e soprattutto in queste sequenze ben congegnate sentiamo che il ragazzo è proprio pieno di problemi. Impressione rafforzata dalla sua lotta con la seduzione del Lato Luminoso della Forza – il saggio vecchio Lor San Tekka di von Sydow lo introduce affermando che il Primo Ordine è nato dal Dark Side, mentre Kylo Ren no: la sua origine è nel Light Side. E Ren è elegantemente formidabile quando blocca in aria un colpo di blaster alzando la mano o quando ferma l’opposizione cosmica con un pensiero. Il suo arco nel film è quello più completo e interessante, anche più di quello di Finn/Boyega: da arrogante a insicuro. Sebbene non stia diventando un cosiddetto “fan favourite”… rimane un Cattivo strabiliante.
Kylo Ren è l’anti-Darth Vader: è perfettamente l’opposto dello smisurato Vader. Quando è lì, da solo, che riflette davanti all’elmo bruciato del nonno, è un ragazzo del Fandom che ammira un’action figure di Star Wars! Un pizzico di insana patologia psichiatrica condito da deliri di onnipotenza (bella novità in SW), unito alla riflessione abramsiana circa la follia insoddisfatta dei fans starwarsiani, tipo “vorrei tutto ma non mi va bene niente”. Kylo Ren è un transfert del fan medio. E l’attore Adam “Kylo/Ben” Driver è classe eccelsa. Ben due volte nel film si toglie la maschera (atto cinematograficamente determinante: la Maschera in Star Wars è uno dei simboli più radicali e radicati) ed è perfetto: un volto giovane, difettoso ma serio. Nero. Elegante. E nevrotico. Un figlio drogato dal potere cui serve un sacrificio, un Harry Potter a 30 anni tossico e dipendente.
L’incontro a metà film con la pura Rey è decisivo. È fantastico che Ren si smascheri per la prima volta con lei. È solo lì che la Forza si risveglia. In seguito, il duetto di Driver con Harrison “Han” Ford è indimenticabile. Han lo cerca, lo ferma sul ponte sopra l’abisso, lo sfida da padre imperfetto a figlio perfetto nella maledizione. Arrivano Rey e Finn aprendo la porta sulla stella morente e l’ultima lama di luce illumina Solo e Ren, tipo un riflettore sul palco. Poi il sole si spegne, la luce svanisce e Kylo diventa un rosso diavolo nel buio dell’anima. Opera la sua scelta finale: è Lato Oscuro della Forza. Elimina la parte umana di sé. Poi, sofferente, bucato da una balestrata laser del disperato Chewie, affronta un duello doppio nella neve che è da rimanere incollati alle poltrone del cinema. Spacca Finn ma poi gli alberi cadono, falciati da pesanti spadate laser raramente così stordenti; e Kylo Ren viene sconfitto solo da una “nuova Prescelta”. Rey la vedrei davvero figlia di Luke e/o della Forza… È forse più potente di Anakin Skywalker… Ed è proprio il cugino dannato Ben Solo a risvegliare la Forza in lei!
Terza di tre. Siamo infine alla Rey della perfetta sconosciuta all-british (23enne londinese) Daisy Ridley. Che è fin da ora nei cinque personaggi starwarsiani per me più belli in assoluto. Rey, una vera dura del deserto che sul Sistema lacustre di Takodana si emoziona per l’acqua, l’aria fresca e il verde del pianeta. Rey, una bambina con la bambola fatta in casa del pilota di X-Wing che diventa donna quando sale sul Falcon. Rey, un’eroina del maestro Hayao Miyazaki prestata a buon diritto alla Saga più filo-nipponica della storia.
Ma per trattare Rey serve una necessaria…
“L’atmosfera è buona, lui non c’è / è andato all’estero e non tornerà / La vanità se l’è mangiato vivo / Però è partito con dignità” (De Gregori canta Dylan, “Un angioletto come te”, 2015)
(Contenuti/1)
5. EP7: LA PIÙ BELLA RILETTURA DEL MITO DI ARTÙ E DELLA CERCA DEL GRAAL
…Doverosa premessa.
Il Re Pescatore (“the Fisher King”) appare nel Ciclo Arturiano della Tavola Rotonda o Ciclo Bretone: è l’ultimo discendente dei sovrani che custodiscono il Sacro Graal. Nelle varie caratterizzazioni è ferito sia fisicamente (nelle gambe o nei genitali) che mentalmente, menomazione che si riflette e si ripercuote sul suo regno ormai desertico, sterile e devastato: la famosa Terra Desolata (“Terre Gaste”, “Waste Land”). La ferita del Re Pescatore è la punizione per dei peccati commessi nel passato; spesso c’è un’analogia tra le ferite del personaggio e la ferita al costato subita da Cristo sulla croce – l’arma a infliggerle sarebbe la stessa: la Lancia di Longino o del Destino. Il Re vive isolato nel suo castello anglosassone di Corbenic, detto “il Castello Avventuroso”, vicino a un corso o uno specchio d’acqua presso cui pesca. Nella mistica Cerca del Graal (simbolo della ricerca della fede perduta) molti dei Cavalieri della Tavola Rotonda raggiungono il Re Pescatore per guarirlo, ma questo sarà possibile solo al prescelto destinato da Dio a trovare la potente reliquia – nelle storie più antiche il puro Parsifal/Perceval, poi il perfetto Galahad figlio di Lancillotto del Lago e a volte il casto Bors. Il Graal è spesso parte di una serie di altre reliquie mistiche, tra cui una lancia che stilla sangue (la Lancia del Destino) e una spada spezzata, custodite proprio dal Re Pescatore; l’eroe viene incitato a porre domande circa la loro natura e quindi rompere l’incantesimo del re infermo e della terra infruttuosa. L’impresa è regolarmente fallita. La Cerca del Graal, in ultima analisi, non è la ricerca di un oggetto passivo e inanimato: il Graal, ossia la fede, ossia Dio trovano da sé chi li cerca.
Altre opere ritraggono due re, padre e figlio o nonno e nipote: il più anziano (il Re Ferito) è relegato dalla malattia nel suo castello, tenuto in vita dal Graal; il più giovane (il Re Pescatore), anch’egli menomato, riesce invece a incontrare gli ospiti e andare a pesca. Importante inciso: nel magnifico film arturiano del 1981 “Excalibur” dell’inglese John Boorman, caposaldo celtico del Fantasy cinematografico, contemporaneo alla Trilogia Classica di Star Wars e girato nella verdissima Irlanda, il Re Pescatore veniva genialmente fuso con il personaggio di Re Artù. Sovrano della luce punito per l’incesto con la sorellastra Morgana e in seguito guarito dal Graal; che si fa trovare da Parsifal nel suo stesso castello di Camelot.
I parallelismi con Episodio VII sono già evidenti. Tutto questo, collegato alla Saga di Star Wars, andrebbe visto in ottica secolare. In America, a Hollywood, la LucasFilm/Disney sta scrivendo la nuova Epica e noi ne siamo testimoni, con le giuste critiche e ancor più giusti entusiasmi. Ma il vero giudizio avverrà molto dopo la nostra morte. Siamo solo testimoni: le vere accettazione e comprensione della portata di un’opera del genere richiedono generazioni. Per fare di Artù un mito ci sono voluti oltre mille anni…
Anche il Ciclo Bretone riprendeva, con dovuti accorgimenti, puntuali rimandi ad antichi eroi e semidivinità ancestrali, riletti con le lenti poetiche (e spesso miopi) del cattolicesimo. Erano miti pagani di estrema importanza, principi ed eroi, perché ogni cultura ha avuto il suo George Lucas o J.J. Abrams, ogni cultura ha un santone: in sua assenza la tribù umana stessa crollerebbe nell’anarchia, non avrebbe scampo a se stessa pur avendone i mezzi. L’Uomo-Donna necessita di storie raccontate intorno al fuoco, necessita di persone che le inventino, le traducano e le ripetano in continuazione. L’Uomo-Donna ha bisogno di credere che da qualche parte San Giorgio abbia sconfitto un Drago, forse fra le brume di Mordor e oltre le mura di Hogwarts, o che Achille e Galvano siano amici, o che realmente una Spada attenda un vero Re… un Cristo. Oppure la visione di una spada laser che, finalmente, una volta accesa dipani le tenebre.
“E dicono che un uomo può sbagliare / E certi errori costano parecchio / Ma quando il sole passa lungo il muro / Io mi ci vedo come in uno specchio” (De Gregori canta Dylan, “Come il giorno”, 2015)
(Contenuti/2)
6. “CHI È LUKE SKYWALKER?”
Riporto l’evidenza nelle trasparenti sequenze finali di Episodio VII.
Rey approda al Tempio Jedi Originale, del Mito, spinta e guidata dal “Graal”: la mappa simbolica rintracciata tramite la Forza (la fede) nelle viscere sia del primo vecchio Droide-bambino, R2-D2, lì per tutto il tempo, sia dell’ultimo nuovo Droide-bambino/a, BB-8, che giunge da lontano; e da loro due ricostruita. La giovane eroina apparsa dal nulla, che viene dal deserto, dopo il dubbio si fa carico dell’impresa e parte quindi tra le stelle per compierla da sola… Accompagnata esclusivamente dalle tre simboliche Creature basilari dello Star Wars Classico 1977/1983: l’Alieno “testimone” (Chewbacca), il Robot “messaggero” (R2-D2) e l’Astronave “cavallo” (il Millennium Falcon) – sono i Cavalieri del Graal, come Galahad con Bors e Perceval e i loro destrieri medievali. Infine, per salire lei unica prescelta le mitiche scale dell’Eden paradisiaco di Guerre Stellari, saluta e lascia indietro tutti i suoi accompagnatori; “si spoglia” così degli Effetti Speciali, dell’armamentario spettacolare del Cinema americano. Rimane quindi l’Eroe puro dell’Epica più ancestrale, più vera, più profonda dell’umanità.
L’isola britannica di Skellig Michael è il nuovo luogo starwarsiano: Irlanda, mito celtico, Avalon.
E qui ad Avalon appare, nelle lattee vesti del Gandalf il Bianco tolkieniano trasfigurato, il mitico e mitizzato Re Artù Pendragone di Star Wars: “HIC IACET ARTHURUS REX QUONDAM REXQUE FUTURUS – “Qui giace Artù, re una volta e re in futuro” (l’epitaffio sulla tomba di Artù a Glastonbury, secondo Sir Thomas Malory), “The Once and Future King”, il Re in Passato e in Eterno, il Re Per Sempre, Re Artù e Re Pescatore insieme come in “Excalibur”: Luke “King Arthur” Skywalker (Luke come “Luce”), cercato come/con il Graal e trovato oltre la vita proprio in Irlanda, tra il muschio verde, il mare grigio e le pietre antiche di Skellig Michael.
Come dopo la morte epocale di Lancillotto del Lago, l’ultimo e il migliore Cavaliere della Tavola Rotonda perché Uomo imperfetto, fallace e passionale; anche qui, una volta morto il Cavaliere “umano” della Tavola Rotonda galattica, quello Han Solo da sempre Uomo canaglia tra gli dei della Forza… Allora Luke/Artù potrà scendere dall’Avalon del suo esilio oltre-morte, ritrovato dal giovane, puro e illuminato Parsifal/Galahad-Rey, e potrà ritornare dal passato come Jedi Master del futuro. Dopo l’antica e sanguinosa fine della Tavola Rotonda dell’Accademia Jedi post-Endor, nella fosca lotta tra il Re luminoso e il suo erede di sangue Skywalker dannato, moderna “Le Morte d’Arthur” maloryana (1485) protagonisti zio Luke/Artù e nipote Ben/Mordred; il ciclo finalmente riprende: dalla spada Excalibur che era stata gettata in mare, alla spada laser riconsegnata al suo legittimo, anche se disilluso e ferito, proprietario. Il gesto finale di Rey è lo stesso fondante di Obi-Wan “Ben” Kenobi (il primo Gandalf il Grigio) in “Una nuova speranza” ’77: la genesi di tutto si ripete, nel cerchio della vita. Una nuova chiamata alle armi. Excalibur torna adesso al suo padrone dal mare stellare in cui è stata gettata, dopo essere stata dal suo padrone estratta dalla roccia. L’ennesima innovazione di Star Wars è che il saggio Luke Skywalker dello straordinario Mark Hamill qui non accetta la spada e rimane drammaticamente immoto; del resto, a un Jedi le armi non servono…
J.J. Abrams era stato sedotto dalla Presidente LucasFilm Kathleen Kennedy e coinvolto nel progetto Star Wars Episodio VII con la seguente domanda cui dover rispondere: “Chi è Luke Skywalker?”. La risposta di questi cineasti colti, raffinati e moderni è: Re Artù ad Avalon, ferito a morte dal figliastro Mordred ma destinato a tornare alla vita, richiamato da Excalibur e dal Cavaliere del Graal a restaurare la giustizia e la pace divina (della Forza) nella Galassia britannica/Britannia galattica.
Puro misticismo del Graal, quello già esaltato dal vero Indiana Jones di Spielberg & Lucas. Ecco perché Steven Spielberg si è emozionato nell’intimo con questo Star Wars 7: un film che ri-crea (conferma, espande) un nuovo tipo di mito per il “mondo americano” – come Tolkien creò un nuovo mito per l’Inghilterra. Ecco perché, personalmente, ho pianto alla fine della prima visione: i miei primi miti d’infanzia e vita adulta, il Guerre Stellari 1977 e l’Excalibur 1981, fusi ed esaltati in un nuovo film-ponte. Come storicamente esultò il grande Science-fiction Isaac Asimov nel 1980 al cinema, dopo la rivelazione della paternità di Darth Vader e il cliffhanger successivo; a mio parere oggi un tizio come l’High Fantasy J.R.R. Tolkien, in sala, si sarebbe commosso.
“Adesso si nasconde la luna / Anche le stelle sono quasi nascoste / L’indovina che legge la fortuna / Se ne sta andando con le sue risposte” (De Gregori canta Dylan, “Via della Povertà”, 2015)
(Terza Trilogia)
7. L’INCOGNITA MAGGIORE PASSA DAL “CHI ERA IL PADRE DI LUKE” A “CHI È LA MADRE DI REY”…
Cos’è Star Wars, in ultima analisi? In questo SW-Ep7 si parla spessissimo della “luce”, in varie interpretazioni “laiche” dameroniane o “mistiche” reniane. Oscurità contro luminosità. Poi… scontri e inseguimenti aerei di caccia stellari, poteri e superpoteri magici, risate scoppiettanti a ritmo da scavezzacollo… Mouse robot, mostri tentacolati, turbolaser, lame luminose, strane creature organico-tecnologiche, assurda musica aliena in una cantina, pirati straccioni, eserciti sconfinati di soldati spaziali, ferraglia arrugginita che va alla velocità della luce… Spartiti intimisti o trionfali… Antichi misteri familiari nel passato e sviluppi futuri ignoti… Un pianeta sventrato e semovente nel cosmo che succhia soli e, attraverso l’iperspazio, distrugge il Sistema Hosnian capitale della Repubblica Galattica e che infine, esplodendo, crea esso stesso una “nuova stella” (immagine così potente, sia visiva che metaforica). Tutta roba grossissima che ci fa ricordare quanto amavamo questo gigante assopito, risvegliato per la colazione da J.J. Abrams. E il regista ci offre su un piatto d’argento pure la speranza, ossia la ragione per essere eccitati dal futuro del franchise.
Nel frattempo, testimoni di incassi globali incredibili, in attesa di una Terza Trilogia che si annuncia epocale, ci sono lotte da iniziare, condurre e portare a termine. Battaglie da vincere. Voli della fantasia da spiccare. Vediamo uno Star Destroyer mettere in ombra un mondo. Vediamo una cascata immensa extra-planetaria di fuoco solare. Vediamo il Millennium Falcon ancora in azione nell’iperspazio, e che azione: atterra con uno schianto sulla neve e sugli alberi, ma anche decolla schiantando sabbia e capanne… Eppure, nelle grandi battaglie il regista resiste e rinuncia a sfruttare la tecnologia moderna per accelerare a dismisura la velocità delle astronavi-saetta X-Wing e TIE Fighter. Piuttosto, mantiene il giusto ritmo che permette all’occhio la comprensione. Verissimo, certo, quanto non rispetti fino in fondo questo senso di chiarezza nel racconto degli equilibri socio-politici tra Primo Ordine, Repubblica e Resistenza, ma chi se ne frega. Impacchetta un regalone e sferra un pugno allo stomaco di portata planetaria, lanciando una nuova generazione di personaggi che alla fine riesce a prendere il suo legittimo posto a fianco di pesi massimi come Han, Leia e tutti gli altri. Star Wars è tornato ed è solo l’inizio.
“Viviamo in un mondo politico / Benvenuta non è la pace / Che se ne vada a bruciarsi viva / Nell’esplosione di una fornace” (De Gregori canta Dylan, “Mondo politico”, 2015)
(Epilogo)
8. “ANDARE A VEDERE SW7 È COME ENTRARE NELL’ALBERO OSCURO DI YODA: SI INCONTRERÀ SOLO CIÒ CHE CON SÉ SI PORTERÀ”
Così ha risposto un mio amico starwarsiano americano a un fan che gli chiedeva come fosse questo attesissimo “The Force Awakens”.
Star Wars è ritornato perché Star Wars affronta il problema della Forza. Come si capisce nel titolo originale di Ep7, la Forza si fa soggetto: The Force Awakens, “la Forza si risveglia”. La Forza ha una volontà, come ammoniva un tempo il Maestro Jedi della Forza Vivente Qui-Gon Jinn nel lontano e concettualmente sottovalutato Episodio I. Solo che, dopo tante decadi di errori di hybris da parte delle cose viventi che ostinatamente circonda, penetra e mantiene unite, errori prima commessi dagli Oscuri Signori dei Sith e poi soprattutto dai Cavalieri Jedi (da Yoda a Mace Windu nei Prequel, poi dall’Obi-Wan Kenobi Classico allo stesso moderno Luke Skywalker), oggi la Forza non si risveglia solamente: è costretta a eruttare. Come un vulcano dormiente ma distruttivo che a lungo ha covato lava. Viene sputata fuori una nuova Prescelta da una Vergenza della Forza, erede del povero Anakin. Ed ecco Rey, protagonista assoluta che si appropria, con personalità dirompente, del meraviglioso finale – come si appropria della fiducia della leggendaria Principessa e Generale Organa, come si appropria del sempre più scattante e sferragliante Millennium Falcon, come si appropria dell’amicizia del tenerissimo, sorridente Chewbacca e dello stesso redivivo R2-D2. E comunque… Rey, adesso “Capitana Solo” (il nuovo Eroe con il “blaster al fianco” donatole dal vecchio Eroe congedato), non si appropria della spada laser della stirpe Skywalker, che anzi restituisce al suo legittimo proprietario in una scena incredibile. Lancinante. Commovente. Nel verde e azzurro allucinanti della terra e del mare d’Irlanda, dopo un’arrampicata metaforica alla cima paradisiaca del monte di pietra, in un ipnotico cerchio aereo della telecamera da brividi assoluti, si tratta di una clamorosa consegna del testimone, o di un’investitura cavalleresca, incompleta e al contrario: dal più giovane e bisognoso di aiuto al più vecchio e segnato, recalcitrante come nei più classici rifiuti alla chiamata.
Questo… questo è, e sarà per sempre, Guerre Stellari.
“Sole grande, luna blu, il passato è ancora qua / E so a memoria i ricordi e il tempo prende velocità” (De Gregori canta Dylan, “Non dirle che non è così”, 2015)
- Grazie a Paolo Enrico Rossi e Fabrizio Laurenti
Articolo pubblicato in originale nel marzo 2017 su Living Force Magazine online #48, la fanzine riservata ai Soci di Yavin 4, il fan club italiano di Star Wars, del Fantastico e della Fantascienza
Per approfondire, l’autore dell’articolo e Presidente del Club Yavin 4 ha pubblicato due libri sulla Saga di Star Wars: Tutte le Guerre Stellari (Runa Editrice, 2020) e, con l’esperto e studioso Paolo Gulisano, La Forza sia con voi (Runa Editrice, 2020)